IL RESTO DEL CARLINO
SPECIALE ECONOMIA

Venerdì 27 Febbraio 2015

 

Di questi tempi “start-up” è ormai termine più abusato di “crisi”. La sua ricerca su Google ci offre oltre 1 miliardo di risultati rispetto ai miseri 54 milioni del secondo. “Questo è il decennio delle start-up, delle nuove imprese e del loro ruolo nel rivitalizzare il mercato con soluzioni innovative e alternative che, in alcuni fortunati casi, hanno consentito di rivoluzionare interi processi organizzativi o intercettare bisogni ancora inespressi.” Ma nel sistema start-up il mondo, ormai, eccede. Ed è sempre più un business per chi vi pascola attorno. “Se non vogliamo che le start-up non diventino una “moda” dobbiamo smetterla di pensare ad iniziative per promuovere l’ente o l’associazione territoriale di turno; cerchiamo di offrire ai giovani strumenti reali per consentirgli di formarsi e diventare la nostra nuova classe imprenditoriale. L’uscita dalla situazione di stallo in cui ci troviamo passa dalle nuove generazioni. Se saremo capaci di supportarli nell’individuare la direzione giusta, saranno proprio loro a cambiare le regole del gioco. Hanno una mente fresca, fervida e, nonostante tutto trami contro di loro, riescono ancora ad avere una passione incontenibile e a sognare progetti imprenditoriali. Non sosteniamo forse i nostri, figli fin dai primi passi, per consentirgli poi di correre e spiccare il volo? Più che dare futuro alle nuove generazioni sforziamoci di creare le condizioni affinché esista per loro un futuro. Il nostro Paese non ha bisogno di progetti irrealizzabili, di pomposi animatori di convegni, né di professionisti delle start-up e di laboratori in grado di produrre guadagno solo per se stessi, sfruttando la tendenza del momento a scapito dei giovani. La start-up deve diventare impresa, deve generare profitto, deve creare posti di lavoro. Questo momento deve essere una straordinaria opportunità per riscrivere il dialogo tra gli attori dello sviluppo: da una parte le Università, che devono interrogarsi su come trasformare il loro sapere in business, dall’altro le grandi imprese innovative, che hanno necessità di accogliere il fermento delle nuove idee nei loro territori; e poi ci sono le amministrazioni, il cui compito deve essere quello di studiare come sostenere lo sviluppo di queste nuove imprese. SE ne evince che per sviluppare i progetti start-up bisogna essere inclini al cambiamento. Il nostro tessuto imprenditoriale ha bisogno di incontrare il mondo delle start-up innovative in modo diverso, meno fittizio e più pragmatico. C’è bisogno di portare le imprese nei luoghi della ricerca e dell’innovazione e, soprattutto, c’è bisogno che la ricerca universitaria esca dai laboratori e si trasferisca anche nelle imprese.” Questa sfida si vincerà soltanto se tutti i protagonisti, a cominciare dal settore pubblico, saranno capaci di apportare modifiche comportamentali, mettere in moto processi “rivoluzionari” e offrire rinnovamenti inattesi. Gli stessi ingredienti che rendono una start-up di successo.