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Domenica 10 Maggio 2015
L’ANALISI di Alessandro Busani
Sono bastate poche ore per dare luce – e gettare nell’ombra più cupa- un giovane che, nell’ingenuità dei suoi vent’anni, rilascia una sciocca intervista a margine delle contestazioni dei No Expo, durante la prima giornata dell’evento. Un video , e la sua succosa parodia, che fanno il giro del mondo mediatico alla velocità della luce, prendendo di mira il ragazzo, bersagliato dagli insulti e le offese più truci. Il giovane in questione, Mattia Sangermano, viene proiettato in una realtà virtuale impegnata a studiare le peggiori pene da infliggergli, chiedendo agli utenti di votare coi “likes” la più indicata per il grave errore commesso. Tutti a giudicare e condannare. Tutti a ergersi a Giudice della Suprema Corte. Pochi, quasi nessuno, a domandarsi se quel ragazzo fosse da commiserare più che da condannare. Le nostre orecchie hanno ascoltato la povertà di linguaggio di un giovane senza obiettivi e senza valori. Di un giovane spaesato, che si trovava in quel luogo per “far casino” pur non appartenendo a quel casino. La sua colpa è quella di aver parlato a vanvera; di essersi sentito protagonista; lui, che probabilmente non lo è mai stato prima, davanti ad una telecamera accesa. Lui voleva la luce. E ha acceso il buio attorno a sé. Un buio di rabbia, di frustrazione, di odio. Un buio che gli si è scagliato contro e che lo ha assurto a capro espiatorio di tutte le colpe che non siamo capaci di attribuire. Avevamo bisogno di dare un volto ai black bloc; Mattia è stato il mezzo per direzionare, dare un senso compiuto alla nostra ira. Già Expo traballava nelle premesse poco lusinghiere per il nostro Paese, la sua ouverture non ha fatto altro che confermare e amplificare le nostre mancanze. Ho un figlio di otto anni, la rabbia l’ho sentita anch’io crescere dentro di me. Ma era una rabbia colma di paura. Perché Mattia non rappresenta i black bloc. Intendiamoci, nessuna intenzione da parte mia di difendere il ragazzo: l’ignoranza e la stupidità non sono mai scusabili. Ma è evidente che Mattia rappresenta il disorientamento giovanile dei nostri tempi. E’ il simbolo dell’assenza valoriale di questa generazione. Mostra l’incapacità di istituzioni, scuola e famiglia di educare i giovani alla convivenza civile. Suo padre lo “giustifica” definendolo “un pirla che si è infilato in una storia più grande di lui, non un violento”. Una risposta semplicistica dietro cui il padre si dovrebbe fare mille domande. Che sono certo si farà e gli toglieranno il sonno per lungo tempo, senza probabilmente trovare risposte. Questa, la sua condanna. Ma c’è qualcosa di ancor più deplorevole e biasimabile che meno è saltato all’occhio. Il bieco cinismo giornalistico di chi ha messo in onda questa intervista. Questo è fatto eticamente grave. Lo scoop fa gola a tutti. Ma dove sta il buon senso del padre di famiglia? Quanto costruttivo può essere, per il nostro Paese, farci scudo dietro un’utile giovane idiota? La sua strumentalizzazione mediatica non ci rende tanto meno idioti di lui.