Il Resto del Carlino, 24 Aprile 2021
“La Cina è vicina, ha scritto a fine anni ’50 Enrico Emanuelli: beh, ci risiamo”. Mi scusi, non mi sembra imminente il pericolo di una rivoluzione maoista. “Di una rivoluzione no; di un sino-strapotere produttivo sì. Mentre il pianeta sbanda in preda ad un’epidemia, oltre la Grande Muraglia il Pil è già tornato a due cifre: +18,3% rispetto al trimestre precedente, come ad inizio 2019”.
Dall’omonimo studio di Global Consulting, con sede in Reggio Emilia, Alessandro Busani geolocalizza l’oggi traguardando i confini di casa, consapevole che un numero crescente di imprese è sempre più chiamato a misurarsi in chiave continentale. Per questo, la ricetta altro non può essere che tornare ad investire. Per farlo, urge uno scatto di reni della Ue.
“Cosa aspettiamo? – esclama Busani – È ora che il livello normativo europeo intervenga sul Temporary Framework”. Perché tanta perentorietà? “Primo, perché costa zero. Secondo, perché può prolungare la tempistica di rimborso da parte delle imprese che hanno contratto debiti per fronteggiare l’emergenza”. Di che dilazione si tratta? “Dagli attuali sei anni si può puntare al decennio e, perché no, anche oltre”. L’indicazione di Busani va al cuore di una patologia fatale per chi fa impresa in piena crisi epidemica: il debito. Non a caso, da una simulazione econometrica di Confindustria, un tale intervento permetterebbe all’imprenditoria italiana investimenti più consistenti per 6,8mld/anno. Quali sarebbero i benefici per il sistema Paese? “Impatto positivo sul Pil – risponde Busani – pari a +0,3% per l’anno in corso ed un ulteriore +0,2% nel 2022. Inoltre, potremmo creare un aumento occupazionale di oltre 40mila unità già nel prossimo anno”.
D’accordo, ma la ripresa non può non fare i conti con il numero di contagi nel nostro Paese… “No, guardi: del Covid-19 se ne occupi chi di dovere. Non sono interessato a perdere tempo tra fazioni pro e anti-vaccino, o faziosi e demagoghi della sanità. Se c’è qualcuno che sa governare quei processi, lo faccia. Da parte mia, dico che abbiamo il dovere di attenzionare l’incremento del debito, aumento che continua a fiaccare i bilanci delle imprese”. Questo cosa provoca? “Provoca che, già per l’anno in corso, gli investimenti privati sopportano una zavorra che lieviterà a dismisura. Forse non è chiaro: si è andato esaurendo il beneficio antidotico del 2020 quando, grazie all’intervento pubblico verso le banche, si è verificato un parziale drenaggio della crisi di liquidità sopportata dalle imprese, che hanno visto andare in picchiata i propri fatturati”. A questo punto, quindi, come valuta l’attuale peso del debito? “Se vogliamo dirla in termini pugilistici, siamo tra il super-medio e il medio-massimo”. Roba pesante, mi pare. “Le pare? Credo non abbia presente che, rispetto alla fase preCovid-19, ci vorranno tempi doppi di flusso di cassa per ripagarlo; ed ecco la ragione di una difficoltà oggettiva a finanziare investimenti da parte delle imprese”.
Va bene: ma perché partire dall’esempio della ripresa cinese? “Certo – risponde Busani – impossibile paragonare il nostro potere produttivo con quello di Pechino. Quel che non funziona, tuttavia, e la lentezza dell’azione europea che dovrebbe salvaguardare le proprie aree di produzione. O no?”. Corretto. “Ecco, se questo è giusto, possiamo accettare una prospettiva grave per il nostro Paese?”. Ovvero? “Ovvero, che servirà almeno un decennio prima che il debito pubblico torni al livello pre-epidemia, pari al 135% del Pil”. Visione pessimista… “No, realista, basta leggere quanto riportato in un recente report dell’agenzia Ficht; e, badi bene, sono le conclusioni del report che dovrebbero richiamare l’attenzione delle nostre classi dirigenti”. Quali? “Quelle secondo cui, una volta raggiunto il target 135% del Pil, serviranno altri dieci anni per scendere al 100%: anche in scenari ottimistici, si specifica”. Così diventa dura. “Appunto: non sarà il caso di agire invece di procedere per anestetizzanti story telling?”.