PRIMA PAGINA
Domenica 22 Marzo 2015
L’ANALISI
Di Alessandro Busani
La frizzante aria di primavera sprizza di un sentiment che guarda speranzoso verso una ripartenza del Paese, sebbene tutti gli indicatori suggeriscano ancora molta prudenza. Dall’euro debole al petrolio a basso costo, dalla politica monetaria espansiva della Bce al cammino delle riforme strutturali, che avanzano seppur controvento, le congiunzioni astrali sembrerebbero favorevoli.
Certo, l’inatteso calo della produzione industriale a gennaio è stato una gelida parentesi di ritorno all’inverno. Una ripresa che germoglia nel dubbio di traballanti dati contenuti in un range previsionale che si attesta tra il +0,4% di Bankitalia e il +2,1% di Confindustria. E’ qui evidente come le previsioni sul Pil italiano 2015 siano quanto mai incerte. Perché il dato di Bankitalia prevede una chiusura d’anno con un incremento di prodotto interno lordo cinque volte più basso di quello stimato dall’associazione degli imprenditori. Anche se proprio qualche giorno fa, a Cernobbio, Visco ha leggermente riletto al rialzo il dato, parlando di «una crescita superiore allo 0,5». Parlando chiaro, in termini assoluti le due previsioni contano un gap di oltre 25 miliardi di euro.
E’ evidente come il crollo del prodotto interno lordo, in questi anni di crisi, renda <relativi> anche i dati più ottimisti sulla crescita. E di prudenza parla anche la Commissione Europea nel recente report su Pil, inflazione e disoccupazione nei paesi dell’Unione. Si prevede che l’Italia cresca dello 0,6% nel 2015 e dell’1,3% nel 2016. Tassi di incremento relativamente bassi se confrontati con quelli degli altri Paesi. La media europea di quest’anno dovrebbe essere dell’1,3% e dell’1,9% nel 2016. Quindi, se venisse rispettata la previsione, quest’anno l’Italia crescerebbe la metà di quanto farà la media degli altri Paesi.
Questo è il vero dato grave. Quando si esce da una crisi, è la capacità di ogni singolo Stato di ripartire che gli permetterà di generare le nuove gerarchie competitive. Fino a fine 2014 anche Confindustria sembrava seguire la strada delle previsioni prudenziali. Ma a gennaio ha cambiato lo schema, guardando con fiducia all’effetto congiunto del prezzo basso del petrolio, della svalutazione dell’euro e della diminuzione dei tassi di interesse a lungo termine. Un ottimismo originato dalla presenza di fattori positivi e contemporanei; e noi sappiamo che, quando più fattori di supporto confluiscono allo stesso tempo, il tutto diventa maggiore della somma delle sue parti.
Certo è che se questa visione si allarga alla dimensione geopolitica, l’ottimismo si attenua sensibilmente. Sono probabili altre crisi, legate a Russia, Ucraina, Libia e Medio Oriente, mentre nelle prossime elezioni inglesi la via potrebbe essere spianata per un anticipo del referendum sulla permanenza del Regno Unito nella UE. Il contesto interno beneficia e beneficerà senza dubbio di questa triade vantaggiosa. Ma nessun ricostituente può far guarire il paziente se non desidera guarire. Per buona sorte, in Italia gli indici di fiducia dicono che qualcosa si sta muovendo verso rotte più ariose. Il governo sembra stabile e le riforme, seppur arrancando, non si arrestano. Non ci rimane che incrociare le dita.