Repubblica.it

24 Giugno 2017

Nuovi e differenti, rispetto al passato, gli scenari e le sfide che le imprese di famiglia si accingono oggi a dover affrontare. Nei momenti di dialogo con gli imprenditori clienti, e non, si evincono numerosi spunti di riflessione ed evidenze già in parte riprese dalla dottrina. Dalla diminuzione dei volumi dei capitali di famiglia, assottigliatosi causa perdurare della crisi, alle reali difficoltà per questo tipo di imprese nel creare economie di dimensione e di scala capaci di mantenerle competitive sul mercato. E ancora di difficoltà si parla quando si tocca il tema dell’innovazione, anche per mancanza di know-how nel management aziendale o familiare. Per non parlare delle potenziali liti tra eredi e dei bassi margini che limitano la possibilità di gestire efficacemente tali conflitti familiari. Mai come oggi si sente la necessità di effettuare un salto culturale capace di coinvolgere non solo le imprese ma anche noi professionisti che le assistiamo. Un salto culturale che si concretizza in alcune sfide non rimandabili. C’è bisogno di ridisegnare l’impresa ponendosi obiettivi di redditività elevati, affrontando il nobile agone dell’internazionalizzazione con l’ingresso in nuovi mercati. C’è bisogno di attrarre nuovi investitori aumentando e consolidando le competenze manageriali e tecniche. Obiettivi questi che, se da una parte esaltano il ruolo del leader dell’impresa, dall’altra sicuramente cambiano il ruolo dell’imprenditore e della sua famiglia. Questo non significa perdere fiducia nelle aziende familiari. L’Osservatorio AUB ci fornisce informazioni dettagliate e aggiornate relative alla proprietà, alla governance, al management e alle performances economiche e finanziarie di tutte le aziende italiane a proprietà familiare con un fatturato pari o superiore a 20 milioni di euro. Il rapporto del 2016 mostra come le aziende familiari di medie e grandi dimensioni siano cresciute di più rispetto a quelle non familiari. Possiamo quindi farcela, ma dobbiamo trovare il coraggio e la determinazione di non disperdere un patrimonio imprenditoriale importante, bensì imparare a valorizzarlo e a sostenerlo. In tal senso, diviene condicio sine qua non imparare a valutare, raffrontare, misurare periodicamente il valore dell’azienda. Perché, per essere vincente, questa azienda deve diventare attraente per i clienti, per chi ci lavora, per le eccellenze professionali che potrebbe attirare a sé, così come per i suoi potenziali investitori o partners. Ma quante sono le aziende che si pongono questo come obiettivo fondante? Prima di spendere energie per vendere l’impresa, sforziamoci di imparare a misurare il suo valore e ciò per mezzo di cui creiamo di questo valore. Da un’analisi effettuata dall’Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano, i casi di aziende che hanno superato con successo il passaggio generazionale possiedono alcuni elementi comuni, tra cui il riconoscimento da parte dell’erede dei valori dell’azienda e la riconoscenza verso chi l’ha fondata; l’essere capace di rompere le regole, di rinnovare anche in maniera profonda senza per questo disconoscere quanto fatto sino a quel momento; l’attenzione al territorio così come lo stretto rapporto con le associazioni imprenditoriali e le università. Le aziende vincenti, crescendo, riescono a preservare intatto il loro DNA, la propria anima. Per diventare grandi occorrono quindi condizioni non ovvie. Bisogna sforzarsi di rendere queste transizioni generazionali “funzionali” alla crescita, e non vederle come un mero ostacolo. Bisogna trovare dentro di sé il coraggio di sviluppare una visione strategica indipendente dal proprio passato, pur mantenendo ben saldo il radicamento nel proprio Paese di origine quale basilare fattore di identità, e non di freno alla crescita internazionale.